24 OTTBRE 2020 CELEBRATO IL XIX CONGRESSO DELLA DC ( il primo valido dal 1994, dopo due tentativi: 12 nov. 2012 e 18 ott, 2018 )
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DEMOCRAZIA CRISTIANA
Già Sede in Roma, Piazza del Gesù, 46 - Sede attuale Bologna, Via Titta Ruffo, 7 - CODICE FISCALE 80198590582 (del 01.01.1980) - RAPPRESENTANZA LEGALE

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Decreto di accoglimento, del Tribunale Civile di Roma, Sez. III, convocazione della Assemblea dei soci, il 25/26 feb. 2017, dopo lo "scioglimento" nel 1994 - GIUNTA ESECUTIVA

SITO UFFICIALE DELLA DC
STORICAMENTE E GIURIDICAMENTE LA MEDESIMA, IN ITALIA, DEL 1994

Nino Luciani, Segretario Politico Nazionale, Direttore Responsabile del sito internet
Tel. 347 9470152 - Email: nino.luciani@libero.it
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INTERVISTA A "IL CORRIERE DELLA SERA", SABATO 27 MARZO 2021
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Dc, Nino Luciani a 83 anni ha vinto in tribunale
( Avvertenza: Se non si apre la pagina, scrivere su Google: Dc, Nino Luciani a 83 anni ha vinto in tribunale, corriere )

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Nino Luciani

PER UNA EUROPA PIU' UNITA e PIU' GRANDE --- PER UNA EUROPA PIU' UNITA e PIU' GRANDE

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Decreto di accoglimento
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CETO MEDIO
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Programma DC

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Cav. Romualdo De Simone,
COORDINATORE DELLA REGIONE PUGLIA

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Cav. Vittiorio Adelfi,
COORDINATORE DELLA REGIONE CAMPANIA

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già
CANDIDATO della DC Dr. GIORGIO TRENTI
per il CONSIGLIO COMUNALE

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LETTERA ING.S.VECCHI
a PPE: italiano e tedesco.

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MASSIMO ROCCHITTA
Lavoratori poveri

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Dr. Paolo Genco
Vice Segretario Nazionale, e Coordinatore Regione Sicilia
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Massimo De Leonardis,

L'Italia sempre di più in uno stato di stress idrico
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Per una legge di riclassificazione
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COMUNICATI

COMUNICATO
SUL CONVEGNO NAZIONALE SULLA DC, AL TEATRO QUIRINO, 20 giugno 2024

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1.- La DC, storicamente e giuridicamente continua con quella del 1994, ha presenziato il 20 giugno al Convegno del Teatro Quirino, e ha depositato sul palco i Decreti del Tribunale Civile di Roma, convocativi e autentificativi della DC tornata.

2.- Vi hanno partecipato: LUCIANI, Segretario Nazionale; LEONETTI, Segretario Amministrativo; VECCHI Presidente Vicario del CN; CERENZA Coordinatore Regionale del Lazio; TUCCIARIELLO Coordinatore Regionale della Basilicata.

3.- Si prende atto del titolo: "DC: STORIA DI UN PAESE", quale celebrazione dell'80° anniversario della nascita della DC.
Non tutto fu vera gloria. Il compromesso storico di MORO e BERLINGUER (non nominato) fu un debordo grave dalla democrazia.
Possiamo, invece, sostenere che l'Italia, che oggi abbiamo, l'ha fatta la DC.

4.- Il Comitato ha lasciato in ombra i rapporti duri Chiesa Cattolica - DC (De Gasperi, Fanfani...). La Chiesa Cattolica c'è in Italia dalla caduta dell'Impero Romano, ereditandone la lingua, la struttura amministrativa, e facendo uno Stato Pontificio, sia pur cessato; e oggi essa vi è riposizionata come parlamento "federale diocesano", CEI.
5.- Ma il Comitato organizzatore ha detto che ha fatto il convegno ai soli fini celebrativi storici, non per invocare il ritorno della DC in Italia.
Questo è una contraddizione in termini. C'è il fatto che il Teatro era gremito e ne rovescia la portata.
L' alternativa realistica è che il Comitato ha fatto la celebrazione per segnalare al partito di Fratelli d'Italia il permanere, in Italia, del grande vuoto lasciato dalla DC, e dunque da riempire.

5.- Dato il dubbio, direi che il COMITATO NAZIONALE, organizzatore della celebrazione dell' 80esimo anniversario della DC, vada ri-denominato COMITATO GOVERNATIVO.

6.- La DC si conferma antifascista, e riconosce il Governo Meloni come governo democraticamente eletto, sia pur non pienamente soddisfatta del "suo" Premierato dirigista, perchè non bilanciato da maggiore sovranità popolare (causa il frazionamento dei voti, causa la polverizzazione dei partiti).

*

Congresso 2012 (annullato dal Tribunale Civile di Roma)

Resoconto sul XIX Congresso Nazionale, Roma, 10-11 nov.  2012

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Gianni Fontana


ELETTO UN NUOVO SEGRETARIO NAZIONALE

On. le Avv. Giovanni Fontana
( con il 95,8% dei voti )

                                

                                   
                                     ANCHE ELETTO IL CONSIGLIO NAZIONALE
                                      Presidente: On.le prof.ssa Ombretta Fumagalli
                                      ( eletta con 49 voti su 80 del CN )

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Ombretta Fumagalli

    NOTA DI SINTESI. Al momento, la DC è ricomparsa "giuridicamente".  A riguardo degli uomini, essa e' quella del 1992, tale e quale in ogni senso (salvo pochi), ma con l'obiettivo dichiarato di far subentrare presto  le nuove generazioni.
    E' anche emerso necessario fondare la rappresentanza popolare non più sulle tessere, ma su indicatori oggettivi di impegno e di merito.
    Nel Congresso è prevalso il "partito delle tessere", secondo il Manuale Cencelli, imposto da alcuni "notabili", per la composizione del Con- siglio Nazionale, così da determinarne un impianto zoppo. Infatti, sono risultate rappresentate solo 12 Regioni, su 20 in Italia. In particolare, poi, tra le 12, a Marche ed Emilia Romagna è stato dato 1 rappresentante rispettivo, pur se a Campania 20, a Calabria 11, a Sicilia 9. 
 
Sui motivi di tanto "rigore" dei detti notabili, è ipotizzabile la preoccupazione di controllare future mosse per la ricerca del Tesoro della DC, scomparso, e di cui qualche "pierino" ha detto ... dal podio, ma ignorato dal tesoriere ( pur ricomparso dal podio degli intervenuti), successore diretto di Chitarristi, a suo tempo.

FONTANA : "Speranza per l'Italia e Volontà di ritrovare il cammino dei Padri, che ci hanno guidato per quasi 50 anni
senza  inganno, prima di cedere ad un declino che nessuno di noi immaginava, ma che è avvenuto per i nostri errori,
per i quali io qui, a nome di tutto questo  partito,  di tutti voi, chiedo umilmente e solennemente scusa a tutti gli Italiani".

.
Dal XIX Congresso della Democrazia CristianaRelazione del Segretario Politico On.le Avv. Giovanni Fontana§Roma 11-12 novembre 2012

INSIEME ABBIAMO RICOSTRUITO L’ITALIA.
. INSIEME RIPRENDIAMO IL CAMMINO.

                            Gentili amiche e cari amici,
siamo qui, con umiltà ma anche con convinzione, per destinare qualche soldo di cultura, molta passione e tutto il piccolo o grande patrimonio della nostra non più verde età, a quanti vorranno vivere insieme con noi questa "impresa possibile": tornare ad attivare, nel cuore della società italiana, valori di tempi lontani ma non transeunti, e a testimoniare una più responsabile e lungimirante azione politica per il Paese.

I – IL TEMPO CHE VIVIAMO: DALLA CRISI ALLA RIPRESA
La crisi che, ormai da oltre quattro anni imperversa con i suoi tremendi effettifinanziari, economici, sociali, morali ma che già covava da molto tempo, ha spazzato via, ideologie, valori, tradizioni e culture; compresa quella componente storica di liberalismo illuminato che, attualizzata con saggezza, avrebbe potuto costituire la rivincita sulle ideologie che hanno bollato il ‘900 come un secolo anti-umano. Oggi, anche in casa nostra, domina invece, un liberalismo molto diverso: è un liberalismo cieco, un semplice "liberismo" economicistico distorsivo di ogni civile aspirazione a giustizia e solidarietà.
  Penso in concreto all’avidità di quel liberismo finanziario deragliato nell’avidità delle banche americane, trasmessasi poi come un contagio a livello planetario, compreso il nostro Paese. Oggi, negli Usa, esso è rintracciabile bene in posizioni come quella espressa da Mitt Romney, il quale, nel corso della campagna elettorale, aveva definito il 47% degli elettori di Obama fatto di parassiti che pretendono lavoro, casa e sanità.
Per un partito di ispirazione cristiana e di radici popolari, come è la Democrazia Cristiana, questo parlare dei poveri e dei deboli come parassiti è penoso. In Italia questi "parassiti", cioè i poveri delle vecchie e nuove povertà, ingrossano le loro file inglobandovi anche persone dei ceti borghesi che frequentano le mense della Caritas e condividono con i barboni un dramma che non trova la solidarietà cui avrebbe diritto anche da parte dello Stato che tale "liberismo" ha ritenuto di sposare.
Questi poveri, in genere, non frequentano gli indignados ma, a noi che li vediamo con i nostri occhi, imprimono aghi profondi nella coscienza: interpellano il nostro aver tradito, talvolta, in passato, il popolarismo cristiano e l’idea democratico-cristiana. Ma, soprattutto, ci sollecitano, essi poveri, a non restare più oltre incerti nel riprendere una iniziativa di forte solidarietà e giustizia, anche in politica.
Il fatto è che mentre l’orizzonte delle possibilità umane si è venuto immensamente allargando, in questi venti di assenza della Democrazia Cristiana dallo scenario politico, il pensiero, la cultura, la tradizione, si sono invece venuti ritraendo: uno spazio di grigiore è oggi sopra di noi, davanti a noi e in mezzo a noi. E noi sembriamo quasi costretti a rifugiarci nella memoria delle cose positive e dei maestri che abbiamo conosciuto e frequentato in passato, come a cercare qualcosa e qualcuno, che ci aliti una rinnovata speranza e ci suggerisca un itinerario su cui riprendere a camminare con lena. Su questo oggi siamo chiamati a riflettere e a decidere.
Sappiamo che la società ci guarda, mentre riprendiamo nelle mani questo barlume di speranza e scrutiamo dentro di noi il cosa possiamo fare, il come operare di nuovo con specificità, competenza, visibile affidabilità. Per noi, questo rinascere, questo, quasi, re-indossare i pantaloni corti in età non più giovane, è come un secondo battesimo al quale volontariamente e umilmente ci accostiamo per non essere ulteriormente in balia della rassegnazione e della disillusione, per non smarrire il filo di un vecchio cammino che abbiamo già percorso e che ebbe risultati anche grandi per il nostro Paese: fin dal dramma della guerra e dal regime rovinoso che l’ha preceduta, le cui macerie di distruzione e di morte hanno permesso il generarsi del risorgimento dei nostri Costituenti.
Un risorgimento costruito insieme al popolo, per un credito di libertà e di giustizia nella democrazia e nella solidarietà sociale, cui abbiamo saputo consegnare conquiste che avrebbero meritato una più duratura e fertile vita.
Ma, oggi, non vogliamo celebrare gli eroi morti né le conquiste finite: agli eroi che ci sono stati padri siamo debitori di quanto abbiamo imparato, e l’onesto debitore paga continuando i loro atti testimoniali. Così è stato fatto, sostanzialmente, da De Gasperi Moro: ci accorti, tuttavia, a questo punto della nostra storia, di quanto fosse impegnativa quella eredità, e difficile da gestire. Oggi ci sentiamo ancora fragili nel riprendere in mano tale patrimonio che, in una parola, è il talento di governare fondata su radici di forte penetrazione popolare, sociale, cristiana, non solo difficili da estirpare ma anche molto esigenti in termini di coerenza personale: insomma una della politica aderente alla vita e non della vita aderente alla politica.
Ci sentiamo, nello stesso tempo, decisi. Il concetto di inserire le classi popolari nello Stato, la moralità dei comportamenti di gestione della cosa pubblica, la fermezza di una laicità che per noi non significa confusione, né separazione, né equilibrismo, ma cosciente responsabilità dentro la città dell’uomo, sono valori che desideriamo nuovamente testimoniare con forza. Sapendo bene, come sapevano i padri, che la politica è servizio che usa con competenza il potere per conto di chi ci ha delegato al potere e della comunità cui il potere appartiene.
Sia ben chiaro, a noi e ai giovani cui parliamo, che non si può essere posseduti dal potere: niente di umano può possedere l’uomo, né potere, né denaro, né cultura, senza che sia rovinoso. L’uomo è per l’altro uomo, perché chi possiede la nostra vita è soltanto Dio. Anche il politico deve ricordarlo ogni giorno.

Silvio Lega:
"No a una
DC, partito".
.
"Sì a  DC,
movimento"

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Silvio Lega


Membri


del Consiglio Nazionale

Calabria Barbuto Nicola
Calabria Colavolpe Salvatore
Calabria Cupi Vincenzo
Calabria Donato Angelo
Calabria Nisticò Giuseppe
Calabria Oliverio Caterina
Calabria Ripepi Massimo
Calabria Squillace Francesco
Calabria Straface Antonio
Calabria Vazzana Carmelo
Calabria Deseptis Fiorella
Campania Boffa Aldo
Campania Brancaccio Valeria
Campania Cirino Pomicino P.
Campania Cuofano Pasquale
Campania Della Corte Giovanni
Campania Ferraiuolo Luigi
Campania Ferraro Roberto
Campania Fiorenza Nazzareno
Campania Grippo Ugo
Campania Nunziante Maurizio
Campania Pelosi Daniele
Campania Picano Angelo
Campania Polizio Stanislao
Campania Ravaglioli Marco
Campania Rodondini Vincenzo
Campania Scala Raffaele
Campania Troisi Nicola
Campania Bocchio Isabella
Campania Lombardo Maria R.
Campania Mazzitelli Giovanni
Emilia Duce Alessandro
Lazio Alfano Giulio
Lazio Darida Clelio
Lazio Di Sangiuliano Giuseppe
Lazio Marinangeli Alessandro
Liguria Adolfo Vittorio
Liguria Faraguti Luciano
Liguria Gaggero Gergio
Liguria Tanzi Carla
Liguria Gallina Gabriella
Ligurìa De Gaetani Gian Renato
Lombardia Abbiati Achille
Lombardia Baruffi Luigi
Lombardia Cazzaniga Sergio
Lombardia Cugliari Emilio
Lombardia Donato Salvatore
Lombardia Fumagalli Ombretta
Lombardia Generoso Serafino
Lombardia Ravelli Roberto
Lombardia Galli Anna Maria
Lombardia Soncina Greta
Marche Morgoni Vinicio
Piemonte Aceto Piero
Piemonte Brustia Adelmo
Piemonte Deorsola Sergio
Piemonte Lega Silvio
Piemonte Mazzucco Francesco
Piemonte Mussa Fabrizio
Piemonte Sartoris Riccardo
Piemonte Pavesi Negri Gabriella
Puglia Cattolico Antonio
Puglia De Leonardis Giovanni
Puglia Di Giuseppe Cosimo
Puglia Donatelli Francesco
Puglia Fago Antonio
Puglia Lisi Raffaele
Puglia Palermo Francesco
Puglia Roberto Erminia
Sicilia Alessi Alberto
Sicilia Brancato Antonino
Sicilia Caponetto Francesco
Sicilia Cappadonna Michele
Sicilia De Vito Bruno
Sicilia Grassi Renato
Sicilia Pulvirenti Antonio
Sicilia Torre Carmelo
Sicilia Di Quattro Maria G.
Toscana Bindi Marco
Toscana Camaiti Maria Pia
Toscana Pizzi Piero
Toscana Puja Carmelo
Veneto Bonalberti Ettore
Veneto Bontorin Fulgenzio
Veneto Bottin Aldo
Veneto D'Agrò Luigi
Veneto Fregonese Silvio
Veneto Malvestio Pier Giovanni
Veneto Milani Luciano
Veneto Zanforlin Antonio
Veneto Panin Maria Grazia
Veneto Zanferrari Gabriella
Cons.Reg. Nucera Giovanni
Deputato Gargani Giuseppe

_________
TOTALE

______________________
                  94

NINO LUCIANI, Il Commento.

1.- Premessa. Il XIX Congresso della DC (il XVIII fu il 17 febbraio 1989), celebrato a Roma il 11-12 novembre 2012, ha mostrato due facce:

a) un Congresso ufficiale, in cui vedevi:
  - un Segretario Nazionale (On.le Avv. Giovanni Fontana), 68 anni, uomo buono, colto, di grande sensibilità, largo di vedute, acuto nel vedere il granello "significativo", un discorso durato due ore. Mi sono ricordato il livello e gli svolazzi di Aldo Moro;
  - una sala stracolma ( la sala della Confindustria, a Roma, non meno di 1000 persone, inclusi gli invitati), gente semplice carica di valori, che ha seguito attentamente il Segretario, lo ha applaudirlo ripetutamente a scena aperta, e anche interrotto con "parole" di enfatizzazione di singoli concetti.

b) un congresso nelle segrete stanze, dove veniva contrattata e redatta la lista dei candidati (80) al Consiglio Nazionale. Qui vedevi un andirivieni continuo di notabili e di chiamati e mettere la firma di accettazione della candidatura.
  Chi erano questi "notabili" ? Erano i notabili dell'ancien règime, quelli del partito delle tessere. Non ho motivo togliere un solo capello di stima alle singole persone elette. Ma avendo, alcuni "notabili", imposto il Manuale Cencelli per le candidature regionali, ne è uscito un impianto complessivo di Consiglio Nazionale, zoppo per la DC. Su 20 Regioni, solo 12 hanno ottenuto la rappresentanza. E delle 12, Marche e Emilia Romagna è stato dato 1 solo rappresentante, rispettivo (anzi quello dell'Emilia non è stato indicato dal gruppo della E.R., ma dai "notabili").
 
   E' offensivo definire i "notabili" come "partito delle tessere" ? L'On. Paolo Cirino Pomicino, che ha fortemente condizionato il Congresso, mi ha chiarito che, pur con qualche ombra, il fondare (sulle tessere) la rappresentanza del popolo democristiano è il modo più democratico.
   Ma chiunque io incontrassi per strada (fuori dal Congresso, e dappertutto in Italia), e gli raccontavo che è stato applicato il Manuale Cencelli, lo vedevo andare in escandescenze. Tutti hanno, infatti, ben presenti i fatti che originarono un "declino inimmaginabile della DC" (parole della Relazione del Segretario), e che si impose perchè la DC  non trovo' la forza di auto-pulirsi.
   Al contrario, in Germania, vicende simili (a carico del Cancelliere Helmut KOHL) furono risolte velocemente: mandato a casa senza complimenti, pur avendo grandi meriti politici verso la Germania (unificazione) e verso la Unione Europea (Euro). E infatti la DC tedesca è ancora in parlamento, e oggi al Governo.
   Credo che, per l'Italia, l'esempio tedesco vada applicato rapidamente, senza scusanti.
  Approfondiamo questa ricomparsa dei "notabili", dacchè la allora umiliazione della DC (a prescindere che si tratti di un partito o di altro partito) pare, ancora nel 2014, uno scotto insufficiente.
   Ma, da altra parte, mi è sembrato molto potente e condiviso dal popolo dei congressisti il comune sentire dei valori, e l'entusiasmo, intorno al Segretario Fontana.
   Questo è un buon viatico per l'ottimismo nel futuro. Il mezzo, per essere vincente, potrebbe essere di fondare la rappresentanza su cosa diversa dalla "tessera": su questo torno più avanti.

2.- Distinzione tra una DC di interessi legati al potere politico e una DC di valori cristiani e laici liberali.
 
a) Premessa. Il fatto che la DC, come un qualsiasi partito si possa proporre nel 2014, è fuori discussione, come diritto costituzionalmente garantito a chiunque.
   Ma il punto da affrontare in premessa è altro: chiarire se, mancando nel parlamento italiano (ed europeo), un partito dei cristiani (cattolici, ortodossi, protestanti, giudei) e dei laici liberali (cosa diversa da un partito cattolico, subalterno alla Chiesa Cattolica), venga a mancare in Italia un pezzo di storia, una pietra miliare.
   La stessa domanda mi sono fatto per il PCI (diciamo per i due grandi partiti del Socialismo italiano), scomparsi nel 1992.
   Non ho risposte certe. Ritengo, però, che, dopo il venire meno della DC e del PCI (e del PSI) nel 1992, in Italia è venuto meno lo Stato, e ci siamo trovati nelle mani di partiti senza il senso dello Stato, con grave danno per la coesione sociale intorno alle grandi idee alternative, su cui fondare il governo del Paese.
   La via verso l'alternativa tra due grandi partiti nazionali è un percorso che non inizia da zero e lo vediamo nel fatto che il PD si pone alternativo al PDL (a parte se l'inserimento dei nostri giovani nella dialettica politica varra'   a riabilitarli o a disintegrarli, rispettivamente. Mi riferisco  a Beppe Grillo, a Matteo Renzi e a tanti altri giovani comparsi di recente sui mass media).

 
b - No a una DC, che produce germi corruttivi, tipici delle dittature. In generale parlando, una dittatura non è forte primariamente per il potere di polizia o dell'esercito. Ne sappiamo qualcosa, in Italia, senza bisogno di guardare alla Tunisia, alla Libia, alla Siria. Il potere dittatoriale, dopo il primo colpo di mano (magari militare), cerca di catturare il consenso sociale con vari privilegi a "parte della popolazione".
   Poi, quando nel seguito, la dittatura fosse contestata, saranno costoro a sostenerla, per non perdere privilegi.
   In questo senso la tessera, legata ai poteri, è il germe corruttivo della dittatura dentro la società civile.
  
3.- Una ipotesi che può spiegare il ritorno del partito delle tessere. La DC non è oggi un partito di potere, per cui è difficile spiegare questo ritorno del partito delle tessere.
   Nelle nuove condizioni, la via, più naturale per creare la nuova rappresentanza, pur se collegata giuridicamente agli iscritti del 1992, doveva essere di ripartire la rappresentanza proporzionalmente al lavoro da fare nelle Regioni: ad es., in proporzione alla popolazione regionale.
  Poi, dopo le prime elezioni (con scudo crociato), si potrà anche premiare il merito dei dirigenti locali, ad es. ripartendo, in parte, i posti sulla base dei voti riportati nei Consigli Comunali della Regione.
  
Ma non è andata così. E allora perchè tanta "diligenza" di "alcuni" notabili nella ricerca di "tessere del 1992" ?
  Una ipotesi plausibile è collegarla ad una "ombra" vagante nella sala del Congresso, quasi la "ombra" un morto (ma che "morto" non era, aveva detto la Cassazione).
  L'ombra era un pensiero fisso al "Tesoro della DC", scomparso a suo tempo, su cui qualche "pierino" ha anche fatto domande dal podio.
  Forse qualcuno ha la mappa del luogo del tesoro, come i briganti della "Isola del Tesoro" , il romanzo di R. L. Stevenson.
   Ipoteticamente, potrebbe trattarsi di qualcuno che vuole rintracciare il Tesoro per mettervi le mani sopra, o di qualcuno (cosa più probabile) che punta a sciogliere il partito della DC, e crearvi un successore , come si fa per le moderne società di capitali (far sparire i debiti, e ricominciare da capo).
  
Perchè il Tesoriere, che è successore diretto di Chitarristi, non ha fatto chiarezza su questo "Tesoro" ?  La domanda è ineludibile, prima o poi.

  In questa concezione della politica, la mediazione degasperiana e anche quella morotea, è sempre stata all’insegna di cercare punti di contatto con chi camminava su strade diverse. E oggi il dialogo, la ricerca di accostarsi all’altro in nome di una sempre rinnovabile unità costruttiva del Paese, è ancora indispensabile non solo per evitare guerre ideologiche tra le parti, l’ostinata condanna dell’altro, ma anche per affermare un dialogo che non sia galateo di comportamento bensì rispetto profondo della persona umana che occupa il suo posto nella società.
Bisogna liberarci dalla distruttiva posizione espressa dall’aforisma di Sartre "l’inferno sono gli altri". Per noi gli altri sono la nostra famiglia e la nostra comunità solidale, anche quando ne percepiamo limiti ed errori, dai quali del resto neanche noi siamo immuni. Per noi conta avere davvero nell’anima il bene comune.
Spesso ci si libera dalla propria difficoltà accusando l’altro: siamo tutti innocenti e l’altro è il corrotto; non risolviamo i problemi: la colpa è dell’eredità lasciataci da chi c’era prima di noi. Senonché la dialettica politica che dà frutti positivi è fatta di dialogo ininterrotto la cui esemplarità non poggia su un "io" prepotente e sicuro, privo di prossimità con l’altro.
In maniera forse un po’ ingenerosa, e me ne scuso, provo l’impressione che questa situazione di debolezza-incapacità suggerisca, nella situazione politica italiana, i nomi rappresentativi di Alfano, Bersani e Casini, i quali non trovano la via d’uscita per concordare una buona legge elettorale. L’ABC citato dovrebbe invece suggerirci un alfabeto della democrazia del dialogo permanente; un dialogo formale e informale, capace di valorizzare ogni spunto positivo da chiunque dei tre venga proposto, anzi semplicemente da chiunque venga proposto.
Noi dobbiamo avere soprattutto la prossimità con chi non ha tutori ed è alla periferia della rappresentanza politica e sociale, come chi abbandonato dalle istituzioni è soccorso dalla carità ma aspetta di essere soccorso per atto di giustizia creduta e praticata. La giustizia infatti è un concetto anche pre-cristiano; fu già celebrata nell’antica Grecia e poi esaltata fino all’utopia marxista, oltre che espressa e documentabile nella impostazione sociale della fede cristiana. Per questo noi, critici verso la teologia della liberazione per i suoi eccessi privi di utilità, siamo sinceramente impegnati in una autentica politica della liberazione, che può trovare energie concordanti in mondi di buona volontà che vanno anche oltre l’universo dei credenti. Una politica della liberazione, soprattutto, nei confronti dei gruppi sociali meno abbienti e in varia misura emarginati.
In Italia, dopo la cosiddetta "prima repubblica", c’è stata una enfatizzazione di entusiasmo per il sorgere di una "nuova politica" annunciata come liquidazione del passato e progettazione di un nuovo modello. Un nuovo modello capace, si diceva appunto, di "liberarci" da pesantezze e inadeguatezze del passato. In questo tentativo furono coinvolte anche personalità di buona cultura e di buoni intendimenti – penso ad esempio a Melograni, Urbani, e molti altri – che concepirono un cammino di lineare onestà in ottica di rivoluzione liberale, cioè di liberazione: lo Stato di diritto e lo Stato dei diritti, la legalità, le scelte selezionate dei candidati alla guida del Paese.
Ma a lungo andare - non molto lungo, a dire il vero – il progetto manifestò qualche prima crepa e poi, con frequenza crescente, crepe e crepacci fino ala caduta dell’edificio. Il fenomeno Berlusconi non poteva resistere al peccato di origine del suo populismo: in realtà una deviazione del concetto di popolo sovrano e partecipante.
E’ stato un populismo bisognoso di carisma da ubbidire più che da condividere, di fedeltà di militanti più che di lealtà di compartecipi, di una capacità di comunicazione politica che accetta di recitare promesse impossibili più che impegni reali. Ne ricordiamo una fra le molte: Meno tasse per tutti; una promessa  che, così scriteriatamente espressa, tradurrei nell’espressione "evasione per tutti", che ne è l’effetto pratico tendenziale;  mentre responsabilità davvero sociale e liberante avrebbe dovuto dire: Tasse eque per tutti nella trasparenza assoluta, pubblica, permanente, del loro utilizzo. Così, se dopo "tangentopoli" abbiamo conosciuto la fine della "prima repubblica", non molto tempo dopo abbiamo dovuto constatare anche il rapido crollo della seconda. Sono, a questo proposito, sollecitato a insistere sulla importanza di una memoria storica positiva e fertile, e penso che in tal senso la relazione Costituzione-democrazia-partecipazione-rappresentanza-solidarietà sia l’"impresa impossibile" che siamo chiamati a far diventare possibile. Dimenticata la Costituzione, inquinata la democrazia, tra populismo e nuove forme di ribellione politica e di protesta antipolitica, traballante l’impalcatura delle istituzioni dove la corruzione e la malversazione sembra assurta a prassi quotidiana accettata, la rappresentanza pare impigliata in una rete che non pesca qualità adeguate ad affrontare il dramma della crisi che stiamo vivendo.
Il mondo ci guarda, l’Europa ci osserva ed anche l’anti-europeismo cresce, mentre strisciano venature di neo-nazionalismo: in un paese dell’Abruzzo sono stati multati coloro che cantavano "Bella ciao"; in altri paesi di diverse regioni sono state aperte strade intitolate a vecchi gerarchi fascisti; ci sono monumenti della rimembranza e sacrari di "eroi" della guerra in Etiopia; e altro e peggio. Segnali che ci pare non possano essere tollerati ma, prima ancora di essere combattuti, vanno profondamente analizzati.
E’ stato detto per paradosso che oggi, se qualcuno si sognasse di fare un’Opa sull’Italia, l’asta andrebbe forse deserta: eppure l’Italia è tutt’altro che da rottamare; la ricchezza privata assomma almeno a ottomila miliardi, il made in Italy è vivo e richiesto ampiamente, il turismo richiama ancora un flusso ininterrotto di visitatori, le riserve auree sono solide, il reticolo delle piccole imprese è tuttora quasi unico al mondo, molte nuove microimprese sorgono anzi per iniziativa di giovani, e testimoni di vita esemplare circolano fra noi, li vediamo nel nostro quotidiano muoverci tra le strade e i luoghi di lavoro.
Questa è la riserva sana del Paese reale: e allora le due Italie, quella dei poveri, dei disoccupati, dei precari, dell’Alcoa e dell’Ilva, e quella che, dall’altro lato, rappresenta la parte non toccata dalla crisi ma pensosa del futuro e desiderosa di assumersene la responsabilità, chiedono insieme una politica di nuova adeguatezza testimonial, per una speranza di più lunga gittata.
La Democrazia Cristiana sceglie di farsi carico di questa speranza non già seminando al vento promesse che non si possono fare, ma affidandosi con onestà e fattività a nuove generazioni e ad antichi valori, come chi passa un simbolico testimone degli anni gloriosi della ricostruzione e dei partiti politici che seppero camminare con passo sicuro e adeguato alla gravità dei problemi da affrontare.
Se questo è il quadro che ci è dato vivere, quale è la nostra specifica responsabilità? Il nostro compito è quello di riaprire lo spazio della speranza e della concretezza operosa per una testimonianza di impegno politico che riprenda i valori della nostra storia popolare e democratico-cristiana e sappia liberarli a una nuova luce e a una nuova capacità realizzativa.

II - PERCHE’ DC
Una volta finita, anche malinconicamente, l’esperienza della Democrazia Cristiana storica, avevamo sperato che la memoria collettiva del Paese avrebbe conservato i grandi meriti del partito di De Gasperi e Moro e compreso gli errori di percorso della sua ultima fase. Avevamo sperato che da quella grandiosa e umiliante esperienza, il Paese, i suoi cittadini di buona volontà, avrebbero imparato molto. E avrebbero imparato anche dalle esperienze degli altri partiti che si andavano consumando come il nostro, dopo quasi mezzo secolo di vita repubblicana grande ma anche, spiritualmente, ormai prosciugata nelle anime delle classi dirigenti.
In modo più specifico, avevamo sperato che sulle ceneri del nostro lavoro avrebbero potuto sorgere due grandi partiti moderni, uno di centrosinistra ed uno di centrodestra, uno di spinta progressista e uno di moderazione liberale, capaci di ereditare il lato migliore di quella storia e di darci la fase adulta e compiuta dell’Italia: un Paese solido e serenamente capace di governare la propria crescita nella partecipazione e nella solidarietà.
Avevamo sbagliato questa previsione. In effetti, senza far torto alla presumibile buona volontà di tanti singoli, ci sentiamo di dire che le nostre attese sono state totalmente deluse.
Non è nato un partito democratico di centrosinistra capace di amalgamare il grande messaggio popolare e solidale della DC con l’altrettanto importante anelito di giustizia distributiva dello storico Partito Comunista: due anime che mai si sono fuse nella armonica capacità di generare un partito di alta cultura sociale riformatrice. Lassismo nell’impegno di rinnovamento del pensiero, sottovalutazione dei fattori di complessità emergenti sulla fine del secolo appena trascorso, preoccupazioni contingenti di equilibri fra gruppi, fretta di successi elettorali contro avversari aggressivi e sicuri di sé … Forse qualcosa di tutto questo ha giocato un ruolo nefasto: e ha generato la prima delusione per le speranze di una responsabile democrazia dell’alternanza.
Sul versante del centrodestra le cose sono andate anche peggio: insieme alla mancata maturazione di una classe dirigente degna di questo nome, si è realizzato lo sfacelo educativo e morale di una politica ridotta a messaggio di marketing dell’effimero in ogni sua manifestazione. Le poche persone di sincero pensiero elaborante le abbiamo viste progressivamente lasciate ai margini dei luoghi decisori; la leadership carismatica l’abbiamo vista ridotta a una inquinante commistione di aziendalismo privatistico con libertinismo diseducativo; la linea programmatica sottomessa a una dominanza economica che si è rivelata esasperatamente finanziaria e speculativa. Ed è stata la seconda delusione.
Infine il centro. Nella zona che sul piano ideale avrebbe avuto le condizioni più adatte a preservare anche una quota decisiva del messaggio storico della Democrazia Cristiana, si è palesato il protagonismo di un partito che di fatto non è mai riuscito ad aggregare né tradurre in politica organica alcun pensiero. Un improduttivo oligarchismo che non ha mai respirato l’ossigeno impegnativo ma anche corroborante di una partecipazione davvero popolare. Ed è stata la fine di una ulteriore speranza. Tacciamo, da ultimo, di quanti, piccolissimi gruppi che non è appropriato chiamare formazioni politiche, hanno cercato di insinuarsi, anche con buona volontà almeno iniziale, in questo gioco ormai senza radici e senza prospettive, e del tutto più grande delle loro possibilità. La idea di una "Italia dei valori" è diventata un dipietrismo che oggi palesa anche nelle aule giudiziarie la confusione deleteria fra partito di cittadini e gruppo personale; un grillismo che anela lodevolmente a far emergere con forza la voce di chi dall’estrema periferia dell’elettorato reclama il suo diritto a essere ascoltato, ma finisce in una protesta amebica incapace di tradursi in risposta collettiva e nazionale ai problemi collettivi e nazionali; una sparpagliata ex sinistra estrema, che a merito della sua annosa agitazione può vantare soltanto il risultato di aver fatto cadere un governo Prodi che pure testimoniava uno sforzo sincero di ricollegare la politica con il sentimento della gente; i resti di una gruppuscolare destra riottosa che avendo trovato spazio risibile nella effettiva determinazione degli orientamenti politici del Paese si è trovata a dialogare - contraddizione finale e quasi irridente - con il leghismo separatista; il quale a sua volta non ha tardato a testimoniare la miseria morale che ne attanagliava le intenzioni e i comportamenti, anche negli uomini che avevano fatto consistere l’unica loro bravura nel rimproverare agli avversari i medesimi comportamenti.
Le sorprese più recenti sono Montezemolo, Riccardi, Bonanni e tante personalità della società civile che hanno elaborato il loro manifesto: non un partito, non un movimento: un mondo di proposte politiche, una realtà dopo tante delusioni, una specie di gruppo di pressione fattosi coscienza critica del potere: un patto per una nuova politica. Più che notabili, uomini di rango: non pensiamo che abbiano qualche piccola venatura di popolarismo.
Il risultato è che non c’è classe dirigente, oggi, nel nostro Paese, non c’è un pensiero espresso dalla politica sul suo futuro, non c’è una cultura di gestione e non c’è una consapevolezza valoriale. Fino al punto che si è dovuto ricorrere all’espediente, legittimo e onesto ma tremendamente allarmante, di un governo tecnico incaricato del puro e semplice ritorno a una normalità minima che di fatto è solo la normalità della gestione formale del bilancio dello Stato. Questo è infatti in sostanza il governo Monti, nonostante la buona volontà di diversi suoi esponenti e nonostante la indiscussa competenza e correttezza dello stesso Presidente del Consiglio, il quale, in un quadro così difficile, è riuscito comunque a restituire al mondo una immagine più credibile e affidabile del nostro Paese.
Ed è per un atto di consapevolezza piena, e di buona volontà responsabilizzatrice di fronte a tanto scempio e a tanta ombra sul futuro, che noi oggi siamo qui, a pensare in termini di ripresa dell’azione della Democrazia Cristiana per l’Italia. Oggi, siamo convinti che l’Italia abbia più che mai necessità di "democrazia cristiana": con la lettera minuscola e, insieme, con la lettera maiuscola.
Con la lettera minuscola, come sostantivo e aggettivo, nel senso che questo nostro Paese ha bisogno di riconquistare democrazia vera e partecipata: solo così la politica può giustificare il suo potere, le sue contese.
Attorno al ludibrio della vigente legge elettorale si è ridotta infatti quasi a zero la pratica della democrazia e della relativa motivazione degli animi nella scelta della classe dirigente; e ha bisogno di cristianesimo ispiratore, vissuto con coerenza per il bene della "città dell’uomo" che ci è affidata: di cristianesimo come lievito di valori che torni a fermentare una società in cui la centralità non sia più quella della finanza che domina l’economia e dell’economia che domina l’impresa costringendola a non essere una comunità di lavoro per inseguire un concetto di business eretto a mostro totemico contro la dignità della persona sancita dalla Costituzione ma anche dal semplice diritto naturale.
Neanche il diritto naturale può infatti concepire il licenziamento collettivo di migliaia di persone attraverso una e-mail spedita da migliaia di chilometri per effetto di una notizia battuta in un nanosecondo sulla diminuzione di valore della quotazione di un’impresa, in un mercato finanziario distante a sua volta migliaia di chilometri. Questa "efficienza capitalistica" reputiamo, senza mezzi termini, sia figlia del Male, Uno strumento di peccato, come recita la "Populorum progressio", radicalmente incompatibile con la nostra visione di umanesimo e di personalismo, che all’abbrivio del ventunesimo secolo, riproclamiamo, entrambi, come permanentemente nostri; e che sono la semplice, grande ed impegnativa eredità lasciataci dalla Dottrina Sociale della Chiesa e dall’idea democratico-cristiana.
Entrambe ci hanno lasciato ben diverso insegnamento: dalla Rerum Novarum alle successive encicliche sociali, da monsignor Ketteler ad Antonio Rosmini, dalla Scuola di Friburgo al Codice di Camaldoli, dal Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa alla Caritas in Veritate, questo insegnamento ci parla costantemente e puntualmente della liceità del mercato ma anche del suo necessario ancoraggio a finalità morali, di diritto indiscutibile a condividere i frutti dell’impresa fra tutti, di salario di dignità per ogni famiglia, di illiceità della pura rendita e della pura speculazione …
Ebbene, c’è necessità che più democrazia cristiana, con questa lettera minuscola, trovi al suo servizio, con forza, lucidità, sincerità morale, capacità tecnica, accortezza politica, una rinnovata Democrazia Cristiana con la lettera maiuscola: c’è necessità che una grande associazione di cittadini "liberi e forti" torni a generare una politica alta secondo la "nostra" Costituzione; "nostra" perché ispirata proprio dal pensiero democratico cristiano, da De Gasperi e Dossetti, da Gonella e La Pira, da Fanfani, Moro e Lazzati, e di nuovo indietro, nei principi di riferimento, fino a Sturzo e Grandi e Miglioli e altri. E la faccia diventare politica di rinnovamento potente e di rinfrancata solidarietà, di centralità del lavoro e della impresa come comunità di lavoro, di processi formativi capaci di rinforzare valori di libertà e di solidarietà fattiva: insomma, di comunità solerte e rasserenante per tutti.
L’Italia è infatti una comunità, innanzitutto; non una società per azioni ad azionisti dispari, bensì una comunità di cittadini e persone che hanno uguale dignità, servite da istituzioni fatte da tutti e da tutti partecipate, con una economia al servizio di tutti e da tutti realizzata. E con le giovani generazioni come primo tesoro da far crescere secondo responsabilità e autorealizzazione.

III - UN PROGETTO DI VALORI
Non temiamo la sfida perché, più tipicamente di ogni altro partito, la Democrazia Cristiana possiede nella sua ispirazione valoriale una visione adatta a questo obiettivo totale: totale nella sua pregnanza interna ed anche nella sua potenzialità diffusiva oltre il nostro Paese, nella più vasta comunità costituita dall’Europa, dal Mediterraneo, da un mondo che si è fatto sempre più villaggio comune; ricordo, fra l’altro, che di "internazionale dei democratici cristiani", con questo spirito diffusivo e pregnante, si parlava già fin dai primi del ‘900 fra i cattolici che, prima ancora che germogliassero il Partito Popolare Italiano e la Confederazione Bianca del Lavoro costituivano i primi nuclei democratico-cristiani.
Ponte mediterraneo e crocevia planetaria, l’Italia può tornare a essere, non solo nei traffici economici, un Paese al quale il mondo può guardare come a una sua casa simbolica di riepilogo collaborativo e di sintesi valoriale. Se la sede romana della Chiesa cattolica rappresenta questo valore dal punto di vista religioso, la Roma precristiana e l’Italia universalistica di Dante e del Rinascimento possono rappresentarlo dal punto di vista della unità tendenziale degli aneliti di realizzazione umana complessiva; e il grande messaggio che da Rosmini passa a Sturzo, a De Gasperi, a La Pira, a Moro, può rappresentarlo per il cammino di una città terrena che sappia condividere il benessere, frutto della fatica comune, fra tutti gli uomini in questo ventunesimo secolo ultraveloce e ultracomplesso.
Essere custodi attivi di questo patrimonio esige d’altro lato che la forma e la concreta gestione quotidiana del Paese, e la stessa modalità di essere e di operare come partito, abbiano connotati di qualità alta.
I capisaldi di una tale politica ci sembrano almeno cinque:
La nostra Costituzione repubblicana, carta di principi e di valori da salvaguardare con fedeltà, non chiusi aprioristicamente a ogni eventuale possibilità di affinamento, ma lontani da quella frenesia inconsulta che ha portato a rivedere negli anni recenti il suo Titolo V, con una superficialità che testimonia, accanto a intenzioni illusorie, la inadeguatezza di una classe politica incapace di cogliere la grandezza dei padri costituenti e di custodirla migliorandola: anche attraverso una nuova fase costituente che, riteniamo necessaria per adeguare la sua seconda parte ai profondi cambiamenti intervenuti sul piani istituzionale europeo e nazionale.
Uno Stato snello e partecipato, efficiente sul piano nazionale, arricchito da autonomie territoriali in chiave di sussidiarietà e non di dissociazione pseudofederalista; garantito da un intercontrollo democratico senza retoriche di autonomismo fine a se stesso, spesso corrotto non meno di quanto esso stesso abbia rimproverato allo Stato centrale; e, quasi sempre, colpevolmente incapace di utilizzare persino le cospicue risorse economiche messe a sua disposizione dall’Europa.
La valorizzazione permanente e dinamica dell’immenso patrimonio culturale e ambientale affidatole dai padri e dalla Provvidenza: almeno la metà dei beni culturali di cui l’umanità dispone è incredibilmente concentrata nel nostro Paese, e questo solo fatto costituisce per noi "una missione nella missione" e quasi una vocazione profetica.
Una cura gelosa della culla in cui nascono e si formano le nuove generazioni, cioè la famiglia, attraverso la dedizione di uno Stato solerte nel favorirne solidità e serenità, soprattutto con gli strumenti propri della sua missione formativa, dell’attivo supporto alle generazioni che declinano, affinché tale fisiologico crepuscolo non diventi mai emarginazione né accantoni il tesoro della esperienza che si trasmette; uno Stato che sappia garantire la sicurezza di un lavoro dignitoso per tutte le persone che raggiungono l’età adulta e si apprestano ad assumere, della famiglia, la responsabilità più diretta.
Il governo sagace di una economia che ha oggettivamente potenzialità enormi, e che anche nella presente crisi conferma di possedere nella creatività dei singoli e nel tessuto della piccola e media impresa la sua linfa più vitale.
Con quali linee di orientamento pensiamo sia articolabile un simile progetto?
Non parlo volentieri di riforme, e non perché la cultura democristiana sia aliena dall’idea di farne o perché non ne abbia realizzate – le più coraggiose nella storia del nostro paese portano la firma della Democrazia Cristiana, a partire dalla grande riforma agraria di Antonio Segni poco dopo la nascita della repubblica – ma perché, a un certo punto della dialettica politica, il riformismo ha cominciato a vivere quasi fosse un fine in se stesso: ma né il riformismo né le riforme sono un fine; essi sono un mezzo, attraverso il quale la nostra quotidiana analisi della coerenza fra "progetto paese" e realizzazioni concrete viene verificata e coerentemente attuata; facciamo le riforme se servono e in quanto servono, ma non le adoriamo come idoli, e le sottoponiamo costantemente a verifica perché restino effettivamente al servizio dei valori che le ispirano.
Preferiamo parlare piuttosto di "gestione evolutiva" trasparente e condivisa, capace cioè di governare dinamicamente le esigenze di miglioramento permanente delle cose, senza rinviare ai tempi spesso deresponsabilizzanti di maturazione delle "riforme": queste, quando davvero occorrono, devono essere consapevoli, ponderate, impegnative di coerente attuazione, e non mito autoreferenziale.
Questo è il compito della politica disegnato dalla Costituzione italiana. E tale è, come la Costituzione lo regola, anche lo strumento dei partiti politici, mezzo privilegiato attraverso cui i cittadini partecipano al farsi del dibattito, alla determinazione delle scelte, alla formazione della classe dirigente, e insomma alla gestione del paese. Non temiamo, anzi decisamente vogliamo, un partito giuridicamente riconosciuto, persona giuridica e perciò sottoposto a controllo pubblico nella sua trasparenza di gestione.
In realtà i partiti politici operanti oggi hanno, via via, ignorato questo spirito costituzionale per accentuare invece elementi crescenti di chiusura oligarchica, ben poco democratica e partecipativa. Le ombre della corruzione e del clientelismo, quasi i partiti stessi e i loro uomini fossero appunto fini e non mezzi, hanno realizzato, da ultimo, quel nefasto distacco dei cittadini dalla politica che oggi enfatizza la sua gravità attraverso una legge elettorale che chiude del tutto i partiti dentro se stessi quali forme autoreferenziali di gestione del potere.
Con quale metodo pensiamo dunque di lavorare?
Innanzitutto con quello della partecipazione vera e diffusa. Pare espressione scontata e banale, questa della partecipazione, ma essa viene in realtà ogni giorno pronunciata e ogni giorno di nuovo tradita. Così come la partecipazione di tutti i cittadini consente di costruire una logica di armonizzazioni progressive nel cammino di crescita della società complessiva, analogamente la partecipazione di tutti i soci consente al partito di essere punto di traduzione affidabile della domanda e delle attese del paese.
I punti di partenza per noi sono certi: la Costituzione, la cittadinanza, la persona. Essi meritano di essere confermati ma anche approfonditi in tutta la loro portata potenziale: tanto più che nell’Italia del ventunesimo secolo ci sono i cittadini e c’è, con loro, anche un numero crescente di persone in attesa di cittadinanza. Persone provenienti dalle più diverse nazioni del mondo, o loro figli, che non costituiscono più casi isolati ma un fatto sociale ormai strutturale: anch’essi diventano parte della nostra comunità, lo diventano in senso oggettivo: chiedono spazio che non può essere loro negato se crediamo in una società di ispirazione cristiana. Il problema è di fare in modo che lo spazio sia equo e i diritti, come i doveri, reciproci. A questa condizione non si può negare l’ordinata e trasparente osmosi demografica, non solo perché essa caratterizza da sempre i processi di sviluppo di ogni società storica, ma perché la stessa grandezza della nostra civiltà italiana è germogliata e si è sviluppata dal multiforme, secolare apporto di tali risorse.

IV – IL FONDAMENTO DEL LAVORO, LA DIGNITA’ DELL’IMPRESA, LA SOLIDARIETA’ DELL’ECONOMIA
Subito dopo la cittadinanza, è il lavoro a costituire prioritario fondamento della repubblica. Tale lo definisce la carta costituzionale, e si riferisce al lavoro in tutte le sue forme, dipendente o autonomo o imprenditoriale che sia, manuale o intellettuale.
Non sono invece fondamento della repubblica la rendita, né l’attività speculativa. Siamo qui in un campo che, fin dal medioevo, la Chiesa ha chiarissimamente presente. La pura rendita e la pura speculazione sono un male, sono illecite moralmente, e per noi questo principio comporta conseguenze coerenti sul piano delle politiche attive, anche di redistribuzione reddituale e, ad esempio, di carico fiscale.
La ricchezza nazionale resta essenzialmente frutto del lavoro e il lavoro, diritto e dovere dell’uomo, è, per la Democrazia Cristiana, oggetto privilegiato di ogni politica economica. Per tale motivo un punto caratterizzante il nostro "progetto per l’Italia" non può non essere costituito dalla revisione dell’istituto del collocamento, che ci pare da trasformare in istituto dell’accompagnamento attivo nel lavoro.
Né vuol dire, questo, che il mercato del lavoro debba essere governato dal solo collocamento pubblico; tutt’altro: esso si accompagna liberamente al movimento spontaneo della domanda e della offerta che sul mercato si confrontano: il collocamento pubblico opera invece, attivamente, su richiesta dei singoli lavoratori che vogliano ricorrervi. Il fatto è che non c’è dignità della persona se non viene attuato per essa il diritto a un lavoro riconosciuto, remunerato e produttivo. Questo è il concetto, ed è l’obiettivo, da tenere sempre presente.
Vi è un ulteriore profilo di giustizia distributiva, e alla fine anche di efficienza economica, che non ci sembra più possibile trascurare. Una visione distorta del libero mercato, storicamente prevalente in tutto il mondo, riguarda la totale inesistenza di limiti alle più atroci disparità reddituali generate all’interno delle stesse imprese. Prevalgono anche in Italia, sia pure in dimensioni complessivamente meno abnormi, parametri esasperati fino all’iniquità, e assolutamente ingiustificabili da tutti i punti di vista, compresa una reale efficienza economica di lungo andare delle imprese medesime e del sistema.
Noi non assumeremo come nostro programma l’idea, che pure ci viene da uno dei massimi maestri di economia dell’impresa efficiente e a un tempo equa, e cioè Adriano Olivetti, laddove affermava che tra lui, massimo vertice della sua azienda, e l’ultimo dei suoi operai, il divario di reddito equo reputava essere da uno a cinque. Lo corresse quel gran liberale, non certo democristiano, che era Valletta, allora amministratore delegato della Fiat e grandissimo innovatore della vita aziendale, affermando a sua volta che troppo stretta gli sembrava tale forbice e proponeva per essa un raddoppio, cioè che fosse portata da uno a dieci.
Noi non assumeremo neanche questo parametro: ma se nel mondo assistiamo a rapporti inconcepibili, persino di uno a quattrocento e oltre, e in Italia non mancano forbici di uno a cinquanta e oltre, ci sentiamo in mezzo a una situazione alla lunga insostenibile, per la quale assumiamo un duplice chiaro riferimento: da un lato il principio che i parametri retributivi siano parte di una politica trasparente e perciò siano noti pubblicamente; dall’altro che venga, con gradualità ma con inizio immediato, stabilito un primo limite: ad esempio, che non possa essere superata la forbice di uno a venticinque.
Siamo certi che passo dopo passo, anno dopo anno, ci sarà tempo e soprattutto ci saranno condizioni di serenità per calibrare con il consenso sociale più ampio la misura equa, senza mai far pensare che puntiamo a logiche di egualitarismo puro e semplice. Sottolineo che anche questa è la Dottrina Sociale della Chiesa, prima di essere la linea programmatica della Democrazia Cristiana. Sottolineo che anche questo è il cammino che costruisce quella economia sociale e civile di mercato che, della suddetta dottrina, è parte centrale.
Sottolineo che stiamo parlando di reddito personale, non di reddito d’impresa, sul quale andranno invece considerate con intelligente accortezza le dimensioni legate alle esigenze di espansione e innovazione più proprie della impresa stessa, che del resto sono benedette per tutti: lavoratori ed azionisti, persone e comunità. In particolare attraverso una riduzione dell’attuale pressione tributaria per abbattere il cuneo fiscale e stimolare ricerca e investimenti.
La Democrazia Cristiana è comunque contraria, nello stesso tempo e per lo stesso spirito, anche a forme di garanzia del reddito che siano scisse da una corrispondente responsabilità di lavoro produttivo. Non cassa integrazione, dunque, e neanche gli istituti innovativi definiti in tal senso dalla recente "riforma Fornero", ma piuttosto lavori utili in logica sostanzialmente e modernamente keynesiana, intendendo per lavori utili gli investimenti in tutto ciò che possa essere bene comune effettivo.
Nulla dunque ha da vedere, tutto questo approccio, con forme di assistenzialismo, verso le quali nutriamo sostanziali dubbi tutte le volte che esse vogliano supplire a una politica di giusta reciprocità fra cittadino e comunità. La dignità del lavoro, espressione di una sostanziale parità nella cittadinanza responsabile, potrà in tal modo accompagnarsi anche con una sostanziale parità di condizione fiscale e previdenziale senza distinzioni fra categorie: come senza distinzioni ci pare debba essere, in linea di tendenza, il diritto ad accedere a tutto il campo del lavoro, compreso quello delle libere professioni, attraverso meccanismi semplificati e trasparenti rispetto a prassi ancora piuttosto chiuse e per alcuni aspetti vetuste.
Certo è comunque l’impresa che, per la consistenza oggettiva della sua dimensione produttrice di ricchezza complessiva, resta il soggetto centrale per la elaborazione di una attiva politica del lavoro. Inestimabile valore di una economia dinamica e progrediente, l’impresa deve essere, in questo senso, non solo protetta ma sostenuta e incentivata nel suo naturale impulso di sviluppo. Punto cardine di una tale politica ci sembra lo snellimento della burocrazia relativa alle autorizzazioni e ai controlli.
Se questo è il lato normativo-burocratico della vita d’impresa, sul versante economico ve n’è uno non meno pregnante: l’impresa si sostiene e cresce con il duplice strumento dell’autoinvestimento e del credito bancario, come è noto. Anche sulla politica creditizia finalizzata allo sviluppo d’impresa vi è un particolare elemento centrale nella cultura democratico-cristiana, che mentre non può, secondo noi, essere trascurato: è quello costituito dalla idea del risparmio collettivo (dei lavoratori ma anche degli utenti).
Come è evidente dalle riflessioni che stiamo dipanando, non possiamo nascondere il nostro interesse privilegiato per la diffusione di politiche favorevoli ai modelli di partecipazione dei lavoratori nell’impresa, conformemente alla costante tradizione, ancora una volta, della Dottrina Sociale della Chiesa, ma anche a tantissime esperienze consolidate nei paesi più avanzati d’Europa, e al dettato dell’articolo 46 della nostra Costituzione.
A tale riconoscimento del fattore lavoro fa riscontro il dovere ugualmente stringente del lavoratore, di adempiere con senso di responsabilità il proprio ruolo produttivo. Ed è evidente, in questo quadro, come anche l’esperienza sindacale costituisca un valore imprescindibile delle politiche del lavoro, quando naturalmente si tratti di sindacalismo libero e pluralistico, come quello realizzatosi tipicamente nella esperienza della Cisl italiana e ormai caratteristico di tutto il nostro sindacalismo confederale.
E’ questa dinamica che consente alla legge stessa di farsi carico con maggiore competenza di quella garanzia di reddito vitale di dignità per ogni cittadino e per ogni famiglia, che è da sempre nelle nostre aspirazioni. Non si tratta di una richiesta avulsa dalle condizioni concrete della ricchezza prodotta dal Paese: nessun paese può infatti distribuire più ricchezza di quella che produce. Si tratta invece di un’azione costantemente attenta a calibrare il triplice contestuale strumento della politica occupazionale, della forbice massima fra redditi di lavoro, della partecipazione dei lavoratori nell’impresa.
Vissuta con tale orizzonte, l’economia complessiva è veramente "amministrazione della casa comune" finalizzata al "bene comune": che del resto può assumere diversificate gerarchie in funzione della natura di ogni singolo bene e di ogni singola persona. Vi sono ad esempio dei beni la cui natura appare anche al buon senso come collettiva o pubblica e perciò dotata di una legittima aspettativa di fruizione sostanzialmente paritaria da parte dei cittadini: tali sono ad esempio l’acqua, l’ambiente, la sicurezza. Tali beni sono essenziali e primari per la qualità della vita e per essi la presenza della mano pubblica, sia essa quella dello Stato o quella degli enti intermedi, non può non essere diversa da quella riservata a tutti gli altri beni, lasciati all’autoregolazione semplice del mercato.
Questa parola, chiara e ferma, ci è doverosa per il ristabilimento di una visione che è stata resa ambigua e infine controproducente da una tendenza superficiale di questi lunghi venti anni e oltre, favorevole a una semplicistica linea di privatizzazioni, condotta con indiscriminatezza pari a quella che a suo tempo aveva presieduto agli eccessi opposti delle statalizzazioni, o regionalizzazioni, o municipalizzazioni.
Il concetto che dobbiamo piuttosto avere sempre presente è quello della distinzione chiara fra privatizzazione e liberalizzazione: quando si tratta di beni primari liberalizzare è tendenzialmente un bene, privatizzare è tendenzialmente un male. La liberalizzazione salvaguarda e stimola anche l’intervento privato, la semplice privatizzazione può tendere a generare monopoli a fini di lucro, tanto più negativi quanto più riguardino beni appunto essenziali e primari per la dignità della persona.

V - ISTITUZIONI: LO STATO SNELLO PER LA PARTECIPAZIONE SOCIALE
Nelle polemiche interminabili che hanno accompagnato questo tipo di dibattiti sull’assetto dell’economia nazionale negli anni a noi vicini, si è tornati anche a chiamare in causa, più latamente, una "pesantezza dello Stato" che non sarebbe in grado di gestire con efficacia altro ruolo che non sia quello di asettico controllore delle regole che pone, e in nulla o quasi nulla dovrebbe riguardarlo il merito della regolazione sociale.
Storicamente c’è stata, in effetti, in alcuni comparti del sistema economico italiano, una parte di pesantezza che non era ulteriormente tollerabile perché fonte di aggravio di costi e contemporaneamente di danno all’efficienza.
Oggi è però essenzialmente sul piano burocratico che il concetto di "Stato snello" compia passi coraggiosi. E’ infatti valutazione condivisa senza incertezze che il nostro apparato-Stato abbia raggiunto una dimensione elefantiaca fonte a un tempo di sprechi e di inefficienze in alcuni casi intollerabili.
La ragione profonda che presiede a queste considerazioni è semplicemente, ancora una volta, quella che concepisce lo Stato come la organizzazione con la missione di servire la persona e la comunità ai fini della loro crescente autorealizzazione (art. 2 della Costituzione). Ed è questa chiave interpretativa che illumina anche le politiche relative alle articolazioni intermedie non territoriali attraverso le quali si svolge la vita sociale. Per questo che la Dc tutela la costituzione e la partecipazione dei cittadini a forme associative e imprenditive nel campo del lavoro come nei campi della cultura, dei servizi, delle iniziative di cittadinanza, delle tutele dei diritti, e così via: con l’obiettivo di realizzare quel vivace reticolo di vita sociale che possa andare a coprire la più vasta area possibile della domanda di servizi avanzata dai cittadini in questi settori. È nella cultura personalistica e comunitaria, connaturata con la storia del nostro partito, l’incoraggiamento attivo di quel "terzo settore", che può costituire la grande "infrastruttura sociale" nella quale possono trovare risposta meno burocratica e più densa di motivazioni e calore umano le domande e i bisogni meno considerati e protetti dalle istituzioni.
Un approccio solidaristico che si esplicita anche in senso geopolitico, con l’Europa che resta un riferimento che ci aiuta a tenere largo ed aperto l’orizzonte, ed anche un forte laboratorio di buone pratiche. Un’Europa che oggi pone la necessità di un ritorno allo spirito dei suoi padri fondatori, affinché sia di nuovo, innanzitutto, un ideale di fraternità con l’economia che segue: questo pensavano infatti De Gasperi, Adenauer, Schumann, Monnet, Spaak e gli altri fondatori.
Un approccio globale e solidaristico l’Europa deve rivolgere anche verso il Mediterraneo. Il mare delle tre religioni monoteiste, civiltà antiche che, intersecandosi, e non ignorandosi, hanno dato al mondo gran parte della civiltà che oggi lo unisce. È presente in me la suggestione indimenticabile dei "Dialoghi dei Mediterraneo" nella Firenze, "nuova Gerusalemme", del Sindaco Santo, che chiamava il nostro mare Lago di Tiberiade.
Questo approccio globale e solidaristico va perseguito e testimoniato, infine, per la ricerca della pace e dell’unità di tutto il pianeta. Messaggio che da Isaia fino alla Pacem in Terris e alla Caritas in Veritate, il Popolo di Dio vive come il traguardo finale della settimana storica dell’uomo che segue la settimana biblica della Creazione.

VI – PASSATO, PRESENTE, FUTURO: IL POPOLARISMO CHE VIVE.
Le considerazioni svolte sollecitano la politica i partiti ad una tensione morale e culturale superiore a quella attuale, e che possa alimentare anche le loro modalità interne di organizzazione e di democrazia partecipativa.
Anche il problema del finanziamento dei partiti si pone ormai con evidente urgenza morale. Nacque nel cuore degli anni 1970 con l’obiettivo dichiarato di consentire ai partiti di "non essere costretti a farsi corrompere", come si disse allora. L’intenzione era buona ma l’esito non fu felice ed è venuto peggiorando nel tempo.
Non è forse saggio tornare al puro e semplice sistema di "nessun finanziamento"; lo dico chiaramente "non vogliamo i soldi dello Stato". Noi preferiamo un sistema che, escludendo qualsiasi esborso di denaro pubblico, assicuri una normativa semplice, trasparente e facilitata, attraverso la quale ogni cittadino possa liberamente partecipare al finanziamento del partito nel cui programma si riconosce. A tal riguardo mi sembra del tutto condivisibile la proposta di legge di iniziativa popolare promossa dal professor Pellegrino Capaldo.
A fronte dei molti profeti che frettolosamente diagnosticano la fine del partito politico, a me sembra che esso rimanga lo strumento meno imperfetto, lì’unico ancora in grado di consentire l’esercizio della moderna democrazia rappresentativa.
Non va confuso il partito ideologico che guidava le masse della società industriale, con le nuove forme partito capaci di interpretare e dare rappresentanza alla società post-moderna nel mondo delle tecnologie informatiche fattosi uno.
Nessuno di noi pensa di rifare quella Democrazia Cristiana, quelle sezioni, quei comitati, quelle commissioni, quella pletora organizzativa.
La prima delle nostre scommesse è costruire un partito nuovo adeguato alla società del ventunesimo secolo.
Mi sembra che la evoluzione da mettere in campo abbia, tra le altre, le seguenti caratteristiche:

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- a. Un forte snellimento statutario, che infonda trasparenza ed efficacia all’esperienza associativa democratica dei soci, accorciando vertiginosamente la distanza tradizionale fra vertice e base.
- b. Una quota maggiore di "democrazia diretta", nel senso di un incremento di peso decisionale degli iscritti, anche attraverso l’utilizzo delle tecnologie telematiche nel determinare la scelta dei singoli dirigenti del partito a tutti i livelli.
- c. Una mediazione ricca fra il valore fondante della sovranità associativa e la necessità di un coinvolgimento più pregnante dei mondi esterni che si riconoscono nella visione e negli ideali democratico-cristiani. Più peso agli iscritti e più peso ai simpatizzanti, insomma.
d. Una grande rigorosità nell’applicazione della certezza giuridica interna, con una magistratura di garanzia a sua volta semplificata e velocizzata.
- e. Un’attività di formazione permanente per tutti i livelli del partito: siamo anzi, su questo tema, a buon punto nella formulazione preparatoria di ipotesi che tengono conto delle esperienze migliori maturate in questi venti anni nel mondo della formazione politica e sociale.
- f. Infine, una diffusione capillare, sul territorio, di una rete di Circoli Culturali di Iniziativa Politica: non come luoghi di tessere da contare, ma come luoghi di aperta elaborazione, di formazione, di competenze e proposte e impegno sui problemi del territorio.
- g. Riteniamo utile affiancare al partito una fondazione col compito di approfondita e elaborata ricerca sui temi programmatici e sulle strategie della missione del partito

CONCLUSIONI
Cari amici, questo è, oggi, il mio contributo che, attraverso il dibattito di questi due giorni e dei giorni che seguiranno, è aperto ad ogni positiva integrazione, correzione, arricchimento.
Noi siamo qui con il proposito di realizzare insieme il passaggio da una storia antica ricca di successi ma anche dolorosamente responsabile di errori, verso un futuro che deve essere altrettanto ricco di successi e meno esposto agli errori. Mi permetto di aggiungere che rappresento una generazione il cui compito precipuo è, oggi, quello di fornire buon esempio e buoni consigli, trasmettere esperienza sana e forte, per far avanzare sul proscenio delle responsabilità sociali, compresa la guida del partito, le generazioni nuove.
Non è questione di anagrafe: vecchi e giovani hanno dato in tempi e modi diversi esempi eroici ed esempi deleteri. E’ invece questione di anima e di effettiva pratica della democrazia interna. E’ questa che provvede all’immancabile ricambio fisiologico della classe dirigente. Una sola condizione occorre, che non sempre abbiamo onorato in passato: una democrazia interna che vorrei definire, fanciullescamente, semplice e rocciosa per la sua credibilità. Insieme all’impegno quotidiano della nostra formazione permanente.
Nessuno deve mai violare la santità delle urne nelle quali i nostri iscritti sono chiamati a scegliere in coscienza le persone cui affidare la guida del cammino. Con semplicità e sapienza. Non abbiamo bisogno di altro. Forse, in questo momento, il Paese non ha bisogno di altro."

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*

 

Comunicato Stampa
Firenze 29 maggio 2023:

 
- “DEMOCRAZIA CRISTIANA” (Segretario Naz.le Prof. N. Luciani ; Segretario Amm.vo e Rappresentante Legale Rag. C. Leonetti);
- “PARTITO STORICO DEMOCRAZIA CRISTIANA” (Segretario Naz.le Rag. F. De Simoni; Segretario Amm.vo e Rappresentante Legale Avv.R. Cerenza).
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1.- Il 29 maggio 2023 in Firenze si è tenuto un incontro dei due partiti con la volontà di contribuire a riorganizzare la D.C. in Italia e in Europa quale partito di riferimento per i “Cattolici” e “non Cattolici con eguali valori”.
2.- I due partiti, riconoscendosi reciprocamente la legittimità dei propri percorsi riorganizzativi, nel rispetto dei rispettivi Statuti e delle sentenze che si sono susseguite, convengono che la via migliore per la riorganizzazione della DC sia abbandonare ogni controversia giudiziaria e appellare alla unificazione di tutti i partiti e associazioni politico culturali vicine ai valori della storia della D.C. compreso il recupero dello Scudo Crociato Libertas .
3.- A questo scopo i due partiti hanno deciso:
a) di costituire una Commissione paritaria dei due partiti che affronti i problemi politici e le tematiche organizzative programmatiche;
b) costituire un Comitato per la riunificazione al quale partecipino tutti i partiti e associazioni politico-culturali, che vogliono veramente la DC ;
c) di indire una apposita ASSEMBLEA ORGANIZZATIVA GENERALE a Roma il 23 settembre 2023.

POSCRITTO: Tutti i partiti e associazioni interessate possono comunicare l'adesione ai seguenti indirizzi:
- nino.luciani@libero.it
- partitodemocraziacristiana@gmail.com

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In seguito a pronunciamento della Cassazione (2010)
e alla autorizzazione del Tribunale di Roma (2016)

.

Assemblea dei soci del partito della DC elegge, per Presidente:
L'ON. AVV. GIANNI FONTANA

"UOMO DEL DUBBIO", ma anche "MITO DC"

Significato fondamentale della nomina:
Premesso che i dirigenti sono tutti scomparsi o fuoriusciti, il fatto nuovo è che
sarà possibile riorganizzare da zero la DC, senza più bisogno della magistratura

Vi hanno preso parte, quasi in incognito, personalità come i proff. Fabrizio Fabbrini
(grande amico del papa polacco) e Filippo Peschiera (noto giuslavorista di Genova)

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Giovanni Fontana

LA STORIA RECENTE e LA BUSSOLA PER IL FUTURO PROSSIMO.
ANCHE UNO SCIPPO SULLE PELLE DELLA SICILIA, PER AUTO-GOAL DI GRASSI E ALESSI.

Necessarie due serie riflessioni, con due convegni nazionali

a) uno, sulla storia della DC, perchè i giovani sappiano... (tutto, anche gli errori);
b) un secondo, sulla necessità di una scuola di formazione, avente per didattica il codice di Camaldoli

La relazione del prof. Nino Luciani alla Assemblea dei soci. Clicca su: presidente

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Filippo PESCHIERA,
Spunti per una Scuola
di Formazione

Formazione politica dei Quadri con docenti e materiale:
1. La Dottrina Sociale della Chiesa dalle Origini a Leone XIII ;
2. Rapporti speciali Italia - Germania
3. La collaborazione nell'impresa tra capitale e lavoro dal dopoguerra ad oggi;
4. Per una rilettura della Prima Repubblica

Verso il decollo
- Lo scenario mondiale
- La cortina di ferro
- Lo stato dei partiti del prefascismo:
   a) nel Comunismo tutto è compatto; i pochi vertici sono legati a Mosca. È presente un vasto apparato costruito nella Resistenza, che sì organizza nel Colpo di Stato;
   b) nei Cattolici tutto è ancora incerto. I vertici attendono indicazioni dai Vescovi. Alla base, consapevoli di una svolta, si attende una parola dai Parroci e dagli Insegnanti di religione.
  c) II referendum del '46: Nord repubblicano e Centro - Sud monarchico;
  d) Forte scontro tra capitale e lavoro
  e) Industria e trasporti di terra
  f)- La comunità familiare è solida;
  g) II futuro della comunità nazionale è incerto.

I punti di forza della prima Repubblica
a) L'industrializzazione cambia le città ed il Paese;
b) L'Autostrada del Sole unifica l'Italia ;
c) L'Industria di Stato modernizza il Paese
d)  Nessuna parte politica e sindacale è tagliata fuori dal circuito di rappresentanza
e) II consociativismo evita i rischi della guerra civile ;
f)  L'ascensore sociale consente a operai e contadini di istruirsi e di diventare anche imprenditori, senza che lo Stato rallenti l'attività  g) La ricetta della Prima Repubblica è il sistema proporzionale con il voto

Il tramonto della Prima Repubblica
a) La Legge Mattarella e le spinte maggioritarie

5. L'esercizio del potere nei vertici DC: Andreotti, De Gasperi, Moro, Fanfani,I dorotei.

6. L'impianto dei vertici DC:
a) La consistenza
b) Gli obiettivi
c) I rapporti fra gli impianti
d) I rapporti degli impianti con le altre forze politiche;
e) I rapporti con i pensatori;
f) I rapporti con i sindacati;
g) I rapporti con gli imprenditori ;
h)I rapporti con la Chiesa Cattolica;
i)  I rapporti con i giovani
l) La selezione e la formazione dei Quadri

7.-  La formazione dei Quadri nella Prima e nella Seconda Repubblica:
a) Nella Prima: i Quadri sono cercati nel partito e nelle organizzazioni vicine.
È insegnata la dottrina, individuando gli interessi da tutelare e le regoleconseguenti b) Nella Seconda, si ricorre alla scouting: i Quadri sono cercati al di fuori. In definitiva: l'interesse politico è ballerino e nessuno può reclamare.

Nino Luciani, La storia recente
 
1.- La storia recente. Perchè ognuno abbia il suo, è giusto cominciare dalla storia recente, quella che ha portato alla convocazione della assemblea dei soci, da parte del Tribunale di Roma.
  E' vero sì che Nino Luciani ha guidato l'operazione, ma vero è anche che con lui c'erano altri, prima di tutti Alberto Alessi e tanti altri che si chiamano, in ordine decrescente: Francesco Caponetto e Renato Grassi (Messina), Ettore Bonalberti, Luigi D'Agrò e Gianni Fontana (Veneti), Francesco Mazzucco, Isabella Bocchio e Mauro Carmagnola (Piemontesi), Francesco Ranieri e Paolo Cirino Pomicino (Campania), e tante persone singole, non meno importanti, poichè al fatidico 10% si è arrivati uno alla volta, mano mano.
  Per spiegare come si è arrivati all'attuale provvedimento del Tribunale di Roma (2016), va ricordato che, in origine,
  a) una sentenza della Cassazione, del dicembre 2010, aveva confermato la sentenza della Corte di Appello di Roma secondo cui (pag. 27).
- "non si è verificata nessuna ipotesi estintiva" della DC, in quanto l'organo che la decise non aveva il potere di farlo e di conseguenza non era mai sorto un problema di successione.
  In particolare, nei confronti dei ricorrenti, la sentenza della Cassazione aveca così concluso (pag. 12):
"La Corte dichiara inammissibili i ricorsi del partito:
  - della DC rappresentata da Pino Pizza e Armando Lizzi,
  - della Associazione Partito CDC-Cristiani Democratici Uniti;
  - della Democrazia Cristiana rappresentata da Angelo Sandri;
  - e della UDC - Unione Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro.
  "Rigetta il ricorso del Partito Popolare Italiano ex-Democrazia Cristiana".

 La Corte di Appello (pag. 33) aveva anche ricordato che "il Tribunale di Roma (2 aprile 2002) aveva "inibito all'on. Alessandro Duce l'utilizzazione del simbolo scudo crociato e della qualifica di segretario amministrativo della DC".
  Una successiva ordinanza del Tribunale Civile di Roma (marzo 2013, confermata da sentenza del settembre 2015) aveva disposto la sospensione degli effetti del Congresso del 2012, che aveva eletto Gianni Fontana, come Segretario Nazionale.

2. Il seguito. Vista l'ordinanza, Gianni Fontana convocava una riunione il 6 aprile 2013, a Roma, piazza S. Lorenzo in Lucina. Vi parteciparono 100 persone circa. Fontana dichiarò la necessità di creare una Associazione per non disperdere i volenterosi che volevano restare, e questo in attesa di decisioni più mature, quando sarebbe arrivata la sentenza.
  Ma Luciani e Alessi non ci stavamo: " L'Associazione è uno strumento debole, serve un partito della DC nuova", con un nuovo Statuto, nel quale travasare tutti i soci della DC storica, e con Fontana Segretario Nazionale. Però, anche Fontana, a sua volta, non ci stava: "Si potrà fare un partito più avanti, ma al momento, esso è una velleità" (Continua)
Nino Luciani, La bussola per il futuro: subito movere le Regioni, in attesa di ...
 
1) Giuridicamente, la prossima tappa sarà la modifica dello Statuto, per la parte riguardante la struttura organizzative e il sistema elettivo, e ancora applicando il codice civile, art. 21, c. 2, non potendosi applicare il vecchio Statuto.
  Tuttavia, il relativo procedimento è difficilissimo, come spiego al termine della mia relazione, pubblicata più sotto. Per questo motivo, non va perso tempo. Clicca su: presidente.
  Grazie ad uno statuto lungimirante, la nuova DC dovrà essere non un partito che si aggiunge, ma la casa di accoglienza della diaspora, più forte di prima, grazie alle sofferenze patite.
I punti veramente essenziali e fondamentali sono che:
a ) tutti possano rientrare in pieno e reciproco rispetto, senza pagare dazi;
b) ci possa essere il pluralismo e il confronto tra le idee, ma dentro limiti che salvaguardino pilastri fondamentali, quali:
- il carattere nazionale dell'azione (e quindi tutte le regioni siano rappresentate nel consiglio nazionale);
- nel consiglio nazionale, siamo ammessi due soli gruppi: uno per governare e l'altro per controllare chi governa. Per ottenere questo, non occorrono sbarramenti all'entrata, ma incentivare l'aggregazione delle liste, alzando la soglia minima per costituire i gruppi.
2) La tappa finale sarà il congresso, in base al nuovo statuto, per la ricostituzione dei quadri a livello nazionale e locale.
3) Nel frattempo, è importante creare subito i comitati regionali provvisori (a cominciare dalla attivazione delle DC regionali già costituite e mai sciolte), per permettere, su mandato del Presidente del Partito, la partecipazione alle elezioni locali con l'uso dello scudo crociato.
A riguardo della possibilità di usare il simbolo, tornerò prossimamente.
In parallelo, la nuova DC non potrà eludere una spiegazione, agli italiani:
- di quanto accaduto nel suo lungo governo di 50 anni
;
-  e del modo di impostare la sua futura presenza nel Paese.
  Questo si potrebbe fare con due convegni nazionali:
 
a) un convegno storico, nel quale la DC racconterà il suo orgoglioso contributo alla ricostruzione e alla benessere dell'Italia, riferibile agli anni 1948-76, ma anche il sup pentimento per la cattura del consenso mediante l'uso strumentale della Pubblica Amministrazione e per il finanziamento illecito del partito, riferibile agli anni 1977-94.

b) un convegno sulla formazione dei propri dirigenti, con istituzione di una scuola, nella quale i nuovi governanti apprendano il valore della moralità, le tematiche professionali da approfondire, l'importanza della esperienza che comincia del basso e gradualmente si rende disponibile per i gradi alti della politica. NL
(Continua) Dopo una appassionata discussione, si passa ai voti: 60 per Fontana, 40 per Luciani e Alessi.
  Nei mesi successivi, Luciani e Alessi pensano che i 60 voti su 100, ottenuti da Fontana, siano pochi per una decisione che richiede la unanimità, e convocano a Bologna (giugno 2013) un convegno di approfondimento.
  Fontana, Luciani e Alessi trovano un accordo firmato:
- si fa l'associazione a luglio, e  il partito della dc nuova a settembre".
  Arriva luglio e, a Roma, viene costituita l'associazione.
  Arriva settembre, ma Fontana non mantiene i patti. Di seguito fa anche dichiarazioni secondo cui la DC è una esperienza conclusa.
  A novembre Luciani e Alessi fanno il partito della "DC nuova", con statuto regolarmente registrato nel Pubblico Registro, con l'unico obiettivo di ricostruire la DC storica, e di sciogliersi al raggiungimento dell'obiettivo.

3.- Il seguito ulteriore.  Qui i due avviano i colloqui con il tribunale di Roma.
- A marzo ottengono un colloquio con il Presidente del Tribunale, e gli chiedono di nominare un commissario per la convocazione della assemblea dei soci in base all'art. 78 del codice du procedura civile, considerato che tutti gli organi sono decaduti.
  Il Presidente li invita a fare domanda (2014). Fanno domanda ma la risposta sarà NO. Non può concedere la convocazione per pubblici proclami.
  Luciani  e Alessi , dopo un periodo di scoramento, tornano all'attacco e maturano di fare domanda al tribunale in base all'art. 20 cc., in quanto (frattanto) hanno notizia di un elenco dei soci, depositato da Fontana in tribunale.
  Ma, a questo punto, Luciani e Alessi si dividono: Alessi, che sente don Stenico, vuole rivolgersi al Tribunale di Bari, forse un "tribunale meno politicizzato" di quello di Roma, e dove c'è un Presidente ex-democristiano, forse più sensibile alla causa...
  Perchè a Bari e non a Roma ? Il fondamento di questa scelta è che lo Statuto attuale (1984) della DC non indica la sede della DC, e dunque qualunque sede può andare bene.
  Ma Luciani si oppone: la sede è sempre stata a Roma. "Non facciamo errori gravi !"
  Si arriva a dicembre 2014 e - in una riunione a Roma  - Luciani, Grassi, Lucchese, Bocchio, Tropeano decidono che la sede dev'essere Roma. Ma Alessi e don Stenico fanno la fronda (non vi partecipano). Data la divisione, la raccolta delle firme è più difficile. E' meglio aspettare l'esito dei frondisti.
  Si perdono mesi, e i frondisti non concludono la raccolta delle firme per Bari.
  Si fa una riunione a Bologna nel luglio 2015, e le parti rimangono nelle proprie convinzioni - ma intanto Luciani e Grassi decidono di iniziare la raccolta delle firme per Roma, comunque.
  Ad agosto, Luciani scopre la fonte giuridica che indica la sede della DC:
  a) lo statuto del 1943-45 indica piazza del Gesù;
   b) nel 1946 lo statuto viene cambiato, ma solo dall'art. 6 in poi. Gli articoli 1-5 restano immodificati;
   c) nel 1947 lo statuto viene cambiato ancora, e la numerazione riprende dal numero 1, dimenticando la prima parte (atto costitutivo) che dunque entra definitivamente nel dimenticatoio, ma resta giuridicamente.
   - Luciani fa partire la raccolta delle firme, che alla fine sono presentate al tribunale, che poi convoca l'assemblea dei soci per il 25/26 febbraio per la elezione del Presidente e incarica Luciani come Presidente designato di provvedere alla convocazione, presso l'Ergife.

4.- Conclusione.
Risulta dai fatti che il travaglio dell'operazione è ricaduto tutto sulle spalle di Luciani e Alessi, e poco importa che con il senno di poi si constati che ci siano stati degli errori (di Alessi e di don Stenico).
  Direi dunque che, considerato il ruolo di Alessi, in alternativa a Fontana, e considerato il valore simbolico della famiglia di Alessi nella storia della DC, il riconoscimento della Presidenza andasse dato a lui, indiscutibilmente.
  Ma la cosa non è andata così.
  a) La spiegazione sta in un grave autogoal di Alessi.
  Trattasi del fatto che, dal giorno successivo all'invio delle raccomandate di convocazione della assemblea, da parte del Presidente designato, Alessi organizza una fronda nei confronti di lui, meglio dire una operazione di denigrazione (sia pur all'interno di una ristretta cerchia di persone: quelli della sua corte, e una decina di altre persone), quelle che, in assemblea, voteranno contro alcuni punti dell'odg della lettera di convocazione del Presidente designato.
  Alessi criticava soprattutto un punto: il fatto che Presidente designato avesse esteso l'invito ad "eventuali aventi titolo a partecipare alla assemblea come socio", in aggiunta ai soci di cui all'elenco del tribunale. Non solo questo
  Addirittura Alessi incaricherà una avvocatessa (andata dal giudice per chiarimenti) di scrivere una lettera a Presidente designato, circa i suoi errori.
  Ma errori non erano, e la prova viene dai seguenti fatti: :
  - il Presidente designato girava la lettera dell'avvocato al Giudice;
  - il Giudice, messo a conoscenza di tutte le osservazioni della avvocatessa, lo confermava con un provvedimento aggiuntivo, su tutto.
  Non solo questo: tutto il procedimento era stato ben studiato dai più valenti giuriconsulti dell'Ateneo di Bologna, anche avvocati. Alessi sapeva di questi giuriconsulti...
  b) Anche un secondo autogoal della Sicilia, quello di Grassi. Preso atto dell'auto-declassamento politico di Alessi, il Presidente designato tenterà di recuperarlo indirettamente al momento della elezione del Presidente del partito.
  A questo fine, si partiva dal fatto che anche Grassi Renato aveva speciali meriti per l'operazione, avendo sempre sostenuto il Presidente designato durante la raccolta delle firme, tra cui l'idea di rivolgersi al tribunale di Roma, e in più era autorevole per essere stato (da giovane) dirigente dell'Ufficio organizzativo della DC.
  Di ciò tenuto conto, al momento della elezione del Presidente, Luciani proporrà (alla assemblea) Grassi (preavvisato la sera prima) come Presidente.
  Ma Grassi, apertamente, risponderà: "non sono disponibile". Questo è il secondo autogoal della Sicilia

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LA RELAZIONE del prof. Nino Luciani,  Presidente designato dal tribunale

LINEE PER ASSEMBLEA DEI SOCI

 In anteprima, comunico che il compito a cui sono stato delegato è stato molto gravoso, ha richiesto la costante assistenza di un legale (collega professore ordinario della università di Bologna, anche illustre avvocato), e mi ha portato ad affrontare spese vive di notevole entità per le convocazioni, spostamenti ecc.
Strettamente per le sole raccomandate e pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale (gratis l'Albo Pretorio del Comune di Roma, e due Giornali On Line) e annessi, ho anticipato sul mio bilancio personale € 8.508,16 (recuperati con contributi volontari dei soci e non soci: € 7.460,00. Di questi movimenti ho già pubblicato la rendicontazione precedentemente, e che comunque resta disponibile per chiunque, per la tracciabilità dei movimenti, secondo la legge.
Sono stati spesi anche € 7.120 per l'uso della sala Leptis, Ergife, su un contratto di Alberto Alessi, di cui non mi è stata data rendicontazione.

_______________
Apertura della assemblea dei soci

COMUNICAZIONI

a) Questa assemblea è stata convocata dal tribubale civile di Roma con decreto n. 9374/2016 del 14.12.2016. Lo scopo è nominare il presidente della associazione. Con questa nomina, scocca la scintilla che genera la vita giuridica della DC, e non c’è più bisogno del tribunale.
b) Nella prossima assemblea, dovra’ essere fatta la modifica dello Statuto e successivamente il congresso per la nomina delle cariche, in base al nuovo statuto.

1) Il procedimento di oggi
consiste di due parti:
a) nella prima parte, Presidente designato presiede la riunione come designato dal tribunale per validare la costituzione della assemblea dei soci della DC, in base allart. 2367 cc.;
b) nella seconda parte, subentra il presidente nominato dalla assemblea, e Presidente designato cessa come espressione del tribunale.
  Penserà il nuovo Presidente a far compiere all’Assemblea tutti gli adempimenti per rendere l’Associazione pienamente funzionante.

PRIMA PARTE.
Si passa alla prima parte dell'odg:
1.- Costituzione della assemblea
In apertura il Presidente chiama a fungere da segretario il dott. Emilio Cugliari. Egli chiede approvaziole dei presenti, che è data alla unanimità.
Egli comunica che l’odg scritto dal giudice è stato interpretato in modo estensivo da lui, per scongiurare alcuni pericoli gravi al successo della assemblea dei soci, su due punti:
a)  allargamento degli invitati;
b) aggiunta del vice presidente della associazione, nell’odg.
Devo fare, poi, precisazioni anche per la ammissibilità delle deleghe, ai sensi dell'art. 2372 cc. .

Comunica che il decreto del tribunale è stato integrato da un provvedimento aggiuntivo. Precisamente:
a) In base al primo provvedimento, Presidente designato era stato designato per la convocazione con l’indicazione di un o.d.g. che prevedeva la convocazione dei soci, scritti nell’elenco approvato dal tribunale.
  Ma il designato indirizzava l’invito anche ad “eventuali altri aventi titolo” …
  L’estensione aveva provocato una discussione presso alcuni soci, sfociata nell’incarico ad un avvocatessa che andava dal giudice a chiedere lumi sulla validità dell’estensione, e scriveva a Presidente designato la sua personale interpretazione su quel punto e su altri punti.
  Il Presidente designato girava al giudice questa lettera, accompagnandola con la seguente lettera:

AL GIUDICE DOTT. GUIDO ROMANO

Sig. Giudice,
ieri mi e' pervenuta la lettera sottostante di un avvocato che scrive, non a nome suo, ma come suo interprete.
Sono a sua disposizione per ogni miglior raccordo con lei.
Non e' vero che io abbia allargato l'elenco degli aventi diritto. Invece ho informato il grande pubblico, circa il decreto del tribunale, per evitare eventuali ricorsi di potenziali aventi diritto a partecipare alla assemblea.
Gia' il giudice Scerrato aveva accolto il ricorso di tre ricorrenti (non nell'elenco), nella causa sul XIX congresso 2012, annullato, e di cui si dice a lei nel ricorso che ho presentato a suo tempo.
Se ci saranno domande, il diritto sara' sottoposto alla assemblea, che accettera' o respingera'.
Cordiali saluti.
Bologna 7 feb. 2017

Il giudice emetteva il seguente provvedimento, in calce alla lettera di Presidente designato: “visto, agli atti non sussistendo provvedimenti da adottare ed essendo devoluto al sig. Nino Presidente designato nino l’esecuzione degli adempimenti connessi alla convocazione dell’assemblea della Democrazia". Roma, 14.2.2017 . Firmato Guido Romano

Nota del Presidente designato. Il giudice, per effetto della girata (a lui della lettera della avvocatessa) era venuto a conoscenza di tutti gli elementi di doglianza dei soci . E , di cio' tenuto conto, gli aveva confermato l'incarico. Dunque aveva agito bene su tutto.
___________________

 Su questa base, informa l’assemblea:
a) che sono pervenute 7 domande di parteciparvi, come socio, da parte di persone che dichiarano di avere titolo.
Per Bonalumi Gianni, Ciccarelli Antonio, Rosini Franco, Russo Gaetano, Lucchese Paolo il titolo è costituito da tessera di iscrizione alla DC. Per Valentina Valenti il titolo è costituito da autodichiarazione resa (come tutti coloro che sono nell'elenco del tribunale) ai fini della partecipazione al congresso DC del 2012 accompagnata da prova di versamento di € 50; per Franco De Simoni il titolo è costituito da prova di versamento di € 50, anch'essa ai fini di partecipazione al congresso DC del 2012.

2) In merito alla aggiunta della voce " vice presidente" all'o.d.g., essa si giustifica come figura ammessa implicitamente dai principi generali dell'ordinamento, una volta che il giudice aveva accettato la domanda di Presidente designato di nominare il presidente in base ai principi generali dell'ordinamento e specificamente in base all'art. 36 del cc.
La motivazione fondamentale della aggiunta addotta dal Presidente designato è la seguente: se il presidente della associazione venisse a mancare prima del congresso, avverrebbe una catastrofe: vale dire la DC si ritroverebbe senza dirigenti, come adesso, e si dovrebbero raccogliere di nuovo le firme, e tornare dal tribunale. La DC avrebbe chiuso la sua storia per sempre.
Il presidente designato ricorda che, nel ricorso fatto a suo tempo, aveva chiesto che (all'odg)  ci fosse anche il VICE . Egli aveva pensato ad una eventuale omissione o dimenticanza del giudice, ma non ad un divieto. Egli aveva anche pensato che, se l’avesse omesso, l’assemblea non avrebbe potuto valutare in merito al Vice, perche’ non all’odg.
Conclusione: l’inserimento all’odg da’ alla assemblea la possibilita’ di valutare se decidere se nominare il Vice.

3) In merito alla possibilità delle deleghe, il Presidente designato, ricorda di avere ammesso la possibilità di una delega.
Ricorda l'art. t. 2372 cc. ., secondo cui "coloro ai quali spetta il diritto di voto possono farsi rappresentare nell'assemblea salvo che, nelle società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio e nelle società cooperative, lo statuto disponga diversamente".
Secondo il Presidente occorre salvaguardare il rispetto dello Statuto e il diritto alla delega. Lo Statuto nulla dispone in merito. Resta da salvaguardare il diritto alla delega.
Il Presidente motiva il limite in una sola delega, in base ad un principio generale di correttezza. Non è accettabile che un socio si presenti, ad es. con 300 deleghe mettendo i minoranza tutti gli altri soci presenti, di numero minore.

2) Comunicazioni finali
Il Presidente designato segnala l'importanza cruciale di approvare, tra le Varie ed Eventuali la seguente norma transitoria:
1) In via transitoria, tutte le modifiche di statuto, che rendono attuabili la ricostituzione degli organi medesimi, sono di competenza della assemblea.

2) Sino alla completa riorganizzazione del Partito, il Presidente del Partito è autorizzato, anche ora e per allora e con espressa ratifica di quanto sino ad ora sia stato fatto, a convocare gli associati mediante pubblici proclami, con avviso da pubblicare almeno 20 giorni prima sulla GU e all’Albo Pretorio del Comune di Roma.
_________

NOTA POST RELAZIONEM. Ricordo che l'assemblea ha, poi, bocciato le proposte di Luciani circa la nomina di un VicePresidente e la possibilità della delega e le norme transitorie.
  La mancata approvazione
ha distrutto il 50% dell'impianto creato da Luciani e dai  giuristi Bologna. Esso era rivolto ai futuri passaggi che, di conseguenza, diventano quasi impossibili.
a) Non sappiamo cosa farà il neo-Presidente, ma miracoli non ne sa fare. Avere negato la nomina di un Vice Presidente (poteva essere in giovane) è una vera iattura, in caso di impedimenti al Presidente;
b) La modifica di Statuto richiede un quorum di 3/4 dei soci, anche in seconda convocazione. La possibilità della delega avrebbe dimezzata la difficoltà;
c) Attualmente, la modifica dello Statuto può essere fatto attraverso un congresso in base all'attuale statuto. In alternativa, occorre che l'assemblea avochi a se stessa il potere di modifica di statuto, come se si fosse nel 1945, quando la medesima assemblea si privò del potere di modifica dello Statuto e lo delegò al congresso. Ma la relativa norma transitoria non è stata votata, grazie a Grassi.
  Si conclude constatando il danno infinito, creato dall'onda frondista, alimentata da Alessi, cosa che ha aperto spazi a Bonalberti, trascinatore di popolo, ma poco preparato come tutti i SAVONAROLA, i CICERUACCHIO ....

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COMUNICATO - 10 feb. 2017

TRIBUNALE  CIVILE  DI  ROMA DISPONE CONVOCAZIONE
Assemblea dei soci del partito della DEMOCRAZIA CRISTIANA
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La riunione avrà luogo a ROMA, Hotel Ergife,
Via Aurelia 619, tel.06 66441, il 25/26 feb 2017

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IL PERCORSO DELLA RIORGANIZZAZIONE
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1) Il traguardo finale e' la celebrazione del congresso per la nomina degli organi, in base ad un nuovo statuto;
2) Ad esso si dovra' arrivare passando, prima, per due tappe :
    a) una prima assemblea dei soci per la nomina del Presidente della Associazione, il 25/26 feb. 2017, ex-art. 20 c 2;
    b) una seconda assemblea dei soci per la modifica dello Statuto (ex-art. 21 c. 2.
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FINANZIAMENTO DELLE SPESE DI CONVOCAZIONE :
totale € 8.000 per 1750 lettere raccomandate, e € 7.120 per sala da 1750 posti.

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Per dare un contributo (libero), serve fare un bonifico bancario a favore di:

.Presidente designato NINO, presso banca Carisbo (Gruppo INTESA SAN PAOLO): IBAN IT 10B0638567684510301829810
CAUSALE: contributo spese convocazione assemblea partito DEMOCRAZIA CRISTIANA storica..

Avvertenza: Su questo IBAN, la cifra totale accettata non può superare € 10.000 e servirà solo per le raccomandate. Invece il finanziamento della sala dell'Hotel Ergife è fatto per altra via.

 

 

IL PROF. NINO LUCIANI
designato per la convocazione
dal Tribunale Civile di Roma
N. 9374/2016

IL DECRETO DEL TRIBUNALE

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Nino Luciani, Prime riflessioni:
-  sulla storia della DC
distinguendo tra il 1948-70, e il 1970-94, - e su un codice etico.
 
  Anche risposta a CASTAGNETTI, da parte di un "ridicolo" (uno che non pensa come lui)

1.- Storia. L'attuale provvedimento del Tribunale arriva dopo numerosi eventi politici e giuridici catastrofici, per la DC, in un periodo di 20 anni.   Precisamente, dopo lo "scioglimento" della Democrazia Cristiana, avvenuto il 29 gennaio 1994, si levarono varie iniziative per raccoglierne la eredità (patrimonio e simbolo), da parte di nuovi partiti istituiti ad hoc, ma tra i quali sorsero molte controversie, finite in tribunale, e tutte concluse solo nel 2009 con una sentenza della Corte di Appello di Roma, approvata dalla Corte di Cassazione nel dicembre 2010.    Secondo la Corte di Appello, confermata dalla Cassazione, non è mai esistito un problema di successione alla DC, perché lo "scioglimento" fu disposto da un organo che non avevo il potere di legge per farlo e dunque, giuridicamente, la Democrazia Cristiana esiste tuttora.   Sulla base della Sentenza della Cassazione, nel 2012 fu attivato un procedimento di auto convocazione (da parte di alcuni associati) del Consiglio nazionale, e poi fu convocato il XIX congresso per la nomina degli organi (perchè erano tutti decaduti). Il congresso del 2012 fu concluso con la nomina del nuovo Consiglio Nazionale e del Segretario Nazionale nella persona di Gianni Fontana.    Ma successivamente il Tribunale di Roma annullò sia il Consiglio nazionale sia il Congresso, perchè convocati in modo illegittimo.

2) Adesso l'Assemblea. In questi giorni, lo stesso Tribunale Civile di Roma (anzi lo stesso giudice che annullò il Consiglio nazionale) ha convocato l' Assemblea dei soci della Democrazia Cristiana, con piena garanzia della osservanza delle norme di legge.   Non va confusa l'Assemblea dei soci con il Congresso dei delegati. L'una è una assemblea di primo grado (vale dire è sovrana); invece il Congresso è una assemblea di terzo grado, ossia di eletti dalle sezioni locali, poi dai congressi provinciali, poi dai congressi regionali, oggi non più fattibili perchè le sezioni locali non esistono più.

3) Per un Convegno su un codice etico e  un discorso ai giovani sulla storia della DC.

    E' importante una prima discussione tra i soci su un codice etico del cristiano impegnato in politico, così come un discorso al Paese per rivendicare il ruolo storico della DC, soprattutto nella prima fase (1948-1970);
  E' anche importante (si direbbe fondamentale) non far finta di niente, di fronte al Paese, su quanto accaduto nella seconda fase (1970-1994) con il "compromesso storico" con il PCI e con il processo di Milano (di "mani pulite").
  Un aspetto dirimente è il giudizio sul cosiddetto "compromesso storico" tra la DC e il PCI, in pratica un accordo di potere che salvaguardava la DC nel governo nazionale, e inseriva il PCI nelle Regioni, per i problemi di interesse regionale e in più dava , alle Regioni,la delega dello Stato di gestione del Servizio Sanitario Nazionale.   Quel compromesso fu "vera gloria" della DC ?   O, invece, sarebbe stato più corretto (per rispetto alla democrazia) una alternanza con il PCI, nel governo nazionale, se questa era la scelta degli elettori ?   Quel compromesso fu motivato con la tesi che il PCI era un pericolo per la democrazia.   I fatti successivi hanno dimostrato che era solo una calunnia, e infatti il PCI fu importante per la salvezza della democrazia in Italia.  (Ma questo non significa che io avrei votato PCI).

4) Risposta di un "ridicolo" a Castagnetti. Sul TEMPO di Roma (16 dic.) ha dichiarato: "Sono ridicoli, capitolo chiuso", quelli della nuova DC. Mi pare un giudizio affrettato, troppo sbrigativo.   Penso che una cosa sia una DC della casta partitica (propria del suo cognome) come la DC degli anni suoi (1970-94); una cosa sia una DC del popolo come quella del 1948-70.   Credo che Castagnetti dovrebbe invece apprezzare questo tentativo di far valere le idee buone dei cattolici attraverso l'unione, a parte che le idee buone non sono un monopolio dei cattolici.